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PERFORMING GENDER

Riflessione di La Trape

 

18 Ritratti si estendono lungo il perimetro ottagonale di spazioSERRA.
I soggetti sono persone queer, che utilizzano il proprio corpo in maniera performativa.
Le loro identità, le loro espressioni di genere, ed il modo in cui scelgono di metterle in
scena chiedono in molti casi di uscire dalle etichette e dalle categorizzazioni.
In un mondo in cui Drag Race ha sdoganato le drag queen, inizia a entrare nel
mainstream e a farsi conoscere anche al di fuori della nicchia LGBTQIA+ un immaginario queer codificato e infiocchettato che risulta però già vecchio. Ma se la performance queer è l’arte della libertà, non può accettare il compromesso di ripulirsi per poter essere apprezzata dai tanti. Ha bisogno di essere cruda, sporca, diretta.
Per questo i soggetti sono ritratti su sfondi minimali, senza indicazioni di posa, senza
indicazioni di look: per potersi auto narrare con schiettezza.
Le fotografie guardano verso l’esterno, rendendosi visibili a chiunque passi per la
stazione di Milano Lancetti. Non chiedono di essere capite, non chiedono di essere accettate, pretendono di esistere.

 

PERFORMATIVITÀ QUEER
Se con l'avvento dei social si è dato largo spazio a un attivismo performativo, è invece proprio nella performativitá del proprio corpo che si ritrova un intrinseco attivismo, perché in essa c’è un’innegabile verità.
La verità è nella fantasy. In un immaginario che racconta talvolta un’aspirazione, talvolta una
prova generale, oppure un doppio, un opposto che ci completa. L’immagine può essere antitetica a quella con cui ci si presenta al di fuori della performance oppure estremamente simile. Può avere a che fare con una gestualità, una musica, un espediente da palcoscenico, oppure essere solo immagine.
Lo spazio è bianco, vuoto, libero, aperto. Ed è perfetto per raccontare una verità che emerge
dalla “finzione”. Se questo mondo intrappola, e le sovrastrutture ci soffocano, in quel vuoto non ci sono confini, non ci sono paletti.
Per questo quella verità è transitoria, perché i corpi, le identità, gli amori, le attrazioni, possono essere fluide, e cambiare continuamente forma. Ed oggi più che mai come persone queer abbiamo bisogno di rivendicare la nostra necessità di autodeterminarci come individui singoli e imprescindibili fili del tessuto sociale.
È così che queste immagini raccontano una verità precisa, di un momento preciso, fugace, forse irripetibile; la forma che aveva il fiume in quell’istante del suo corso verso il mare.
Non ci sono indicazioni di posa, non ci sono indicazioni di look, non ci sono sfondi. C’è un
soggetto e la sua autonarrazione, c’è una fotografa e il suo sguardo che è aperto, che è vicino, che in quell’acqua a volte cerca un riflesso...

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